RITORNO SULLA VIA DELLA VITA
Fu aperta dai russi per sopravvivere durante il tragico assedio che le truppe naziste strinsero intorno alla città di Leningrado per 28, lunghi, eterni, mesi provocando 630.000 vittime. Grazie a questa ‘strada’ tracciata sulla superficie del Ladoga solidificata dal gelo gli abitanti della città assediata riuscivano a rifornirsi, alcuni a fuggire, a manternersi aperta una via verso la speranza di sopravvivere. Con quest’impresa in solitaria voglio rendere un mio piccolo, personale omaggio alla memoria di donne e uomini eccezionali che con grande coraggio seppero resistere al martellare dell’artiglieria tedesca. Diario di viaggio..... .......Stipati come sardine all’interno di un fuoristrada Uaz, cinque persone piú il materiale, domenica 15 febbraio partiamo da San Pietroburgo per raggiungere Vlidiza, punto di partenza per l’attraversamento del grande lago ghiacciato Ladoga la cui superficie è circa trenta volte quella del lago Maggiore. È da tempo che penso a quest’impresa e l’ho progettata in ogni dettaglio anche se poi, nel compierla, mi dovrò rendere conto che la realtà quotidiana russa sfugge veramente a ogni previsione. Viaggiando verso Vlidiza mi accorgo che ai bordi delle strade ci sono numerose persone, soprattutto donne, che vendono prodotti agli automobilisti: chiedo all’autista di accostare vicino a una di queste donne e cosí scopro che vendono carta igienica. Nella zona ci sono fabbriche di carta igienica che pagano lo stipendio ai dipendenti in rubli e in prodotti che vengono rivenduti per recuperare qualche soldo. È il primo segnale, credo, della realtà che andrò a conoscere: una realtà dura nella quale vivere è davvero difficile. Qui la gente è davvero corazzata per resistere sia alla natura sia a un’organizzazione socio-economica al limite della sopravvivenza. La sopravvivenza è una costante connaturata in queste persone che sono comunque splendide: del resto, è per ripercorrere una pagina della loro storia (divenuta leggendaria e simbolica) che sono qui. La mia impresa consiste nel ripercorrere in solitaria, in mountain bike, la ‘via della vita’ sino alla città di Kobona. La ‘via della vita’ venne costruita dai russi per sopravvivere durante il tragico assedio che le truppe naziste strinsero intorno alla città di Leningrado (denominazione che prese San Pietroburgo dal 1924 al ’91) per 28, lunghi, eterni, mesi dal luglio del 1941 provocando 630.000 vittime. Attraverso questa ‘via della vita’ tracciata sul lago ghiacciato gli abitanti della città assediata riuscivano a rifornirsi, alcuni a fuggire, a manternersi aperta una via verso la speranza di sopravvivere. Con quest’impresa in solitaria voglio rendere un mio piccolo, personale omaggio alla memoria di questi uomini eccezionali che con grande coraggio hanno saputo resistere al martellare dell’artiglieria tedesca.
Sono trascorsi cinquantacinque anni da quella follia ma mi
sembra che intorno a me palpiti ancora lo spirito indomito di quella gente straordinaria. Mentre mi avvicino a
Vlidiza sono ancora convinto, sulla base della documentazione raccolta in Occidente, che la ‘via della vita’ attraversi
l’intero lago Ladoga mentre, in realtà, il percorso storico parte da Kobona e, oltre il golfo di Busta Petrocrepost,
arriva a Kokorievo da dove i russi, su ferrovia, giungevano a Leningrado (San Pietroburgo) e viceversa. In tutto
40 chilometri: io ne percorrerò invece circa 350.
In realtà, una pattuglia di poliziotti mi impedisce di andare avanti: chiedo di parlare con
l’ispettore ma mi viene detto che non può raggiungerci dal villaggio perché non c’è benzina
per l’auto. Mi arrabbio moltissimo ma mi arrendo. Per andare a Kobona, da dove ha inizio la ‘via della vita’, devo
viaggiare sulla superficie di un canale ghiacciato che pochi giorni prima si è aperta inghiottendo un’auto
di pescatori. Passo pedalando davanti alle povere case dei pescatori nei pressi dei canali: molti mi invitano a
fermarmi e a entrare. Ringrazio e proseguo sinché, stanco, accolgo l’invito di una signora; nella piccola
casa vive anche l’anziana madre: mi racconta che i suoi figli lavorano a San Pietroburgo e che suo marito è
morto. Mi offre zuppa di cavoli, burro, pane e tè caldo: io mangio mentre mi guarda in silenzio. Parlando,
scopro che quello era il suo pasto quotidiano: mi commuovo e le offro alcuni rubli, lei mi benedice. Riprendo a
pedalare e penso a quanti nostri alpini, male equipaggiati e male armati, si sono salvati dall’inferno bianco grazie
alla solidarietà di questa gente semplice e generosa. Arrivo a Nuova Ladoga.
In un mercato ‘spontaneo’, le donne lungo le strade vendono pesce ai rari automobilisti
di passaggio. A proposito di automobili: lungo i canali vengo sorpassato dai mezzi dei pescatori lanciati a tutta
velocità, spesso senza freni, e questo per me rappresenta un pericolo perché devo stare attento a
non essere investito. È una situazione ben strana: al ghiaccio che si muove (e sento gli echi dei forti
rombi provocati dallo spezzarsi della banchisa) avevo pensato cosí come al gran freddo, ma davvero non avevo
immaginato di dover anche temere le auto che sfrecciano senza regole sul lago. Arrivo a Kokorevo verso le 17: ultimo
campo e, per fortuna, ultimi liofilizzati. La traversata del lago è finita.
Sono 40 chilometri e pedalare con le ruote chiodate su un terreno non ghiacciato è davvero un tormento, ma sono felice. Ho coronato un sogno: penso a casa e sono contento. Dedico questa mia avventura a Stefano Ferrero e Stefano Colombo e all’amico Mario Anemone con il quale ho percorso la “via del sale” sulle nostre Alpi. Eppure mi rendo conto che quanto ho vissuto in questi giorni mi è entrato dentro, è un fatto intimo. Le emozioni avute sono solo mie e non è davvero facile condividerle. Tecnologia... Per quest’impresa è stata utilizzata una bicicletta MTB Dual Power dell’azienda austriaca Progear Europa con cambio Shimano XTR, telaio in alluminio e due ruote motrici, con il movimento della ruota posteriore trasportato a quello della ruota anteriore attraverso una cinghia di tipo automobilistico, comandata da una frizione posta sul manubrio. Peso totale della bicicletta: 13 chili. Per il trasporto del materiale è stato utilizzato un carrettino in alluminio mod. Yak, fornito dalla Race Ware di Finale Ligure e dotato di uno sci apposito fornito dalla ditta Comelli srl. Il tutto per un peso di 30 chili, attrezzatura e materiale compresi. La tenda utilizzata è una Blizzard della Ferrino ditta che ha fornito anche i materiali tecnici (sacco a pelo, fornello, thermos) che ho sottoposto a vari test di usura. L’abbigliamento tecnico in Gore-tex, windstopper, pile e piumino è stato fornito dalla No Limits® Wear. Berretti e occhiali sono stati forniti dalla Matrix di Torino. Gli alimenti liofilizzati Lyofal sono stati forniti dalla Import Ex Port di Milano mentre gli integratori erano della ditta Officina Alimentare. All’impresa hanno collaborato le ditte DueA ed Elettroveneta di Padova. Ringrazio inoltre il signor Accardo della ditta Gore, la Cicli Mattio di Piasco (Cn) e la palestra Duke di Savigliano (Cn). ...e fisiologia di una pedalata
Il rischio di ipotermia e di congelamento è sempre stato presente e reale soprattutto per gli improvvisi sbalzi di temperatura: da -30 allo zero termico nel giro di poche ore per arrivare ai -40 notturni. Questo provoca delle conseguenze sulla compattezza della superficie ghiacciata (il cui spessore variava sul percorso effettuato dai 5 ai 35 cm), resa spesso impraticabile dalla neve molto farinosa che ha impedito la marcia in MTB, per cui per molti tratti ho dovuto spingere la bicicletta a mano. Biografia del pedalatore Maurizio Gedda, nato a Saluzzo nel ’56, è un atleta ben preparato: istruttore della Scuola Italiana di Mountain Bike, Istruttore della Federazione Italiana Survival Sportivo e Sperimentale, accompagnatore di escursioni con racchette da neve, ideatore e protagonista di varie imprese, come l’attraversamento del deserto lavico e del ghiacciaio Vatnajokull in Islanda. Venezuela, tre mesi di naufragio “volontario” nella foresta amazzonica. In collaborazione con No Limits® world è stato l’artefice degli interattivi “Ice ’95” “Snowshoeing ’96” e “TDR ’96” attuato nel 1997, causa rinvio per maltempo. Sportivo multidisciplinare: sci di fondo, paracadutismo, alpinismo, survival, snowshoeing e naturalmente mountain bike. Docente di topografia e tecniche pionieristiche presso la scuola alpina di Mauro Ferraris di Torino. Ideatore e realizzatore, insieme all’amico Mario Anemone, della Via del Sale in mountain bike, per la prima volta dal mar Ligure (Dolceacqua) alla Svizzera (Ginevra) lungo l’arco alpino occidentale. L’impresa di Gedda rientra nei programmi del gruppo Sector No Limits® Team, team del quale è entrato a far parte.
|